Diritti e Doveri tra Moglie e Marito
Con il matrimonio sorgono tra i coniugi rapporti personali e rapporti patrimoniali specificatamente disciplinati dalla legge. In particolare, i primi rappresentano l’insieme dei diritti e dei doveri di natura personale che derivano dal matrimonio, mentre i secondi sono costituiti dall’insieme dei diritti e degli obblighi concernenti le questioni patrimoniali.
La riforma del 1975 ha modificato la disciplina concernente i rapporti personali e patrimoniali dei coniugi, ridisegnandoli alla luce del principio di uguaglianza tra marito e moglie stabilito all’art. 29 della Costituzione.
Doveri reciproci
Con il matrimonio marito e moglie acquistano e assumono reciprocamente i medesimi diritti e obblighi (art. 143-148 c.c.). In particolare, i doveri reciproci dei coniugi sono i seguenti:
- la coabitazione, che consiste nella normale convivenza tra marito e moglie, ossia nella comunione di casa e di vita sessuale. La residenza è fissata dai coniugi di comune accordo;
- la fedeltà, consistente nell’obbligo per i coniugi di astenersi da rapporti sessuali e sentimentali con altre persone (ciò non sussiste per le unioni civili);
- l’assistenza morale e materiale, cioè il dovere reciproco di comprendersi e sostenersi sotto il profilo sentimentale nonché di provvedere alle esigenze materiali dell’altro laddove questi non sia in grado di farvi fronte;
- il dovere di collaborazione, ovvero l’obbligo di adoperarsi per determinare e conservare le condizioni più adeguate all’unità e alla continuità del gruppo familiare nell’interesse della famiglia stessa;
- la contribuzione ai bisogni della famiglia, consistente nell’obbligo per ciascuno dei coniugi – secondo le rispettive sostanze e la propria capacità di lavoro professionale o casalingo – a contribuire ai bisogni della famiglia (intesi come esigenze legate alla quotidiana vita domestica).
Obblighi nell’Interesse della Famiglia
La legge pone a carico dei coniugi una serie di obblighi nell’interesse della famiglia creatasi a seguito del matrimonio:
- la moglie deve aggiungere al proprio cognome quello del marito 8art. 143-bis c.c.);
- i coniugi devono fissare di comune accordo la residenza della famiglia, secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa (art. 144 c.c.);
- i coniugi hanno il diritto/dovere di concordare l’indirizzo della vita familiare (per esempio, determinare i compiti di ciascun membro della famiglia oppure scegliere il tenore di vita della famiglia etc…). Ciascun coniuge ha il diritto di porre in essere singolarmente gli atti o i comportamenti necessari per attuare l’indirizzo concordato (art. 144 c.c.).
In caso di disaccordo sulla fissazione della residenza, sulla determinazione dell’indirizzo della vita familiare oppure su altre questioni concernenti la vita della famiglia ciascuno dei coniugi può chiedere, senza formalità, l’intervento del giudice che tenta di trovare una soluzione concordata o, se non ci riesce, “adotta, con provvedimento non impugnabile, la soluzione che ritiene più adeguata alle esigenze dell’unità e della vita della famiglia” 8art. 145 c.c.).
Conseguenze in caso di Violazione
L’allontanamento ingiustificato dalla residenza coniugale – quindi la fine della coabitazione – fa cessare il diritto all’assistenza morale e materiale da parte dell’altro coniuge, ma il coniuge che si allontana resta obbligato a contribuire ai bisogni della famiglia. Per assicurare l’adempimento di tale dovere, il giudice può ordinare il sequestro – nella misura necessaria – dei beni del coniuge che si è allontanato. Tuttavia l’allontanamento non si considera ingiustificato se è stata proposta domanda di separazione, di annullamento o di scioglimento del matrimonio. Ovviamente non costituiscono cessazione della coabitazione sanzionata dalla legge le assenze temporanee o saltuarie dovute a validi motivi di lavoro o studio.
L’adulterio, cioè la violazione dell’obbligo di fedeltà, può comportare rilevanti conseguenze, come l’addebito della separazione al coniuge autore del tradimento. Tuttavia, non è sufficiente provare l’adulterio per ottenere una sentenza di addebito della separazione ma è necessario dimostrare che la violazione dell’obbligo di fedeltà sia stata la principale causa di crisi dell’unione e che quindi abbia da sola o in via principale determinato l’impossibilità della convivenza e della comunione spirituale tra coniugi. Nel caso in cui il coniuge contragga con un’altra persona un nuovo matrimonio valido agli effetti civili, si renderà autore di un vero e proprio reato disciplinato dall’art. 556 c.p. (bigamia).
Il rifiuto di prestare assistenza morale e materiale al coniuge e di provvedere a mantenimento, istruzione ed educazione dei figli integra un’ipotesi di reato disciplinata dall’art. 570 c.p. Nell’ipotesi in cui uno dei genitori si rifiuti di provvedere al mantenimento, l’altro coniuge potrà richiedere al giudice competente una sentenza di condanna che imponga al coniuge inadempiente sia di contribuire al futuro mantenimento sia di rimborsare le somme dovute per quello in precedenza negato.
Nel caso in cui gli ascendenti non versino le somme necessarie per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei figli (obbligo cui sono tenuti gli ascendenti in caso di incapacità economica dei genitori), su richiesta di chiunque vi abbia interesse, il giudice potrà imporre che una quota del reddito del soggetto obbligato sia versata direttamente ai coniugi o a ci sostiene le spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei figli.
L’Accordo Tra Coniugi
L’accordo tra coniugi o tra le parti dell’unione civile è un elemento essenziale per la conduzione della famiglia. Come si è visto, la legge pone marito e moglie su un piano di parità e lo Stato tende a non intervenire nel loro rapporto, rispettando il diritto della famiglia ad autogovernarsi. Ai coniugi spetta quindi il diritto-dovere di prendere ogni decisione concernente il nucleo familiare, dal luogo dove fissare la residenza alle questioni pratiche di conduzione della famiglia, fino alle problematiche connesse all’educazione e alla crescita dei figli.
È però possibile che i coniugi non riescano a raggiungere un accordo su una o più questioni familiari essenziali. In tal caso deve distinguersi, a seconda che tali questioni riguardino i coniugi o i figli. Nel caso non ci si accordi sull’indirizzo familiare o sul luogo dove stabilire la residenza, ciascuno di essi potrà, in base all’art. 145 c.c., richiedere (personalmente o oralmente, senza la necessaria assistenza di un avvocato divorzista) l’intervento del giudice. Quest’ultimo, sentite le opinioni dei coniugi (e se necessario dei figli che abbiano raggiunto i 14 anni e convivano con la famiglia), tenterà di raggiungere una soluzione concordata. Nel caso non si giunga a un accordo e si tratti di dover decidere una questione essenziale, su espressa richiesta dei coniugi, sarà il giudice a prendere la decisione che appare più opportuna con riguardo all’interesse della famiglia. in altre parole, laddove i coniugi non richiedano l’intervento del giudice o non richiedano espressamente una decisione sulla questione, la stessa rimarrà insoluta, non volendo e non potendo lo Stato intervenire in questioni interne tra marito e moglie.
Diversamente, laddove la controversia tra i coniugi riguardi i figli, è necessario – per ragioni di tutela – giungere comunque a una decisione. Sul punto, l’art. 316 c.c. stabilisce che nel caso in cui permanga un disaccordo tra i coniugi, il giudice attribuirà il potere di decisione al genitore che ritiene più idoneo, nel caso concreto, a curare l’interesse del figlio (e che potrà quindi essere, indistintamente, il marito o la moglie). Tale norma raggiunge il duplice risultato di garantire l’uguaglianza tra coniugi e di rispettare l’autonomia della famiglia, evitando decisioni imposte dall’esterno (infatti la decisione non è presa dal giudice, bensì lasciata al coniuge ritenuto maggiormente idoneo nel caso concreto).